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Resoconto del corso online "Il lato oscuro della Bibbia"
Corso on line “Il lato oscuro della Bibbia, spiriti, demoni,esorcismi magia”
Dal 18 aprile al 30 maggio si sono tenute 5 lezioni di questo nuovo corso on line. La larga partecipazione ha confermato il successo crescente di una formula adottata ormai da tempo da Biblia per rendere sempre più accessibili ai soci, e non solo, i temi proposti. L’intensità degli interventi, che si sono succeduti all’esposizione, ha evidenziato sia l’interesse per l’argomento presentato sia l’elevata qualità dei relatori.
Le relazioni sono state esaurientemente presentate e coordinate da Piero Stefani e da Enrico Norelli.
Nella prima lezione “Introduzione alla magia antica” Marinella Ceravolo (Università La Sapienza, Roma) ha inteso risalire all’etimologia “archeologica” del termine magia, partendo dall’antichità fino ad arrivare ai giorni nostri, richiamandosi agli storici e agli scienziati che a vario titolo se ne sono occupati nei rispettivi ambiti di studio. Si è così partiti da uno storico, Erodoto, da un filosofo, Platone, e da Plinio il Vecchio per fare risalire la magia alla cultura dell’Impero persiano. In tutta l’antichità è peraltro risultato costante un giudizio fortemente negativo della magia, talora vista come contraria all’ordine pubblico, talora come empia, talora come ingannatrice.
Tale giudizio si è perpetuato, sia pure con qualche sfumatura, durante tutto l’Impero romano. Nell’ analisi è emerso però un collegamento tra magia, religione e scienza e la necessità di individuarne le caratteristiche distintive. Tra queste, la caratteristica privata delle pratiche di magia rispetto a quella pubblica del rito religioso, l’essere la magia contro natura al contrario della scienza che studia la natura.
Della magia si sono ancora occupati in epoca moderna studiosi dell’800 e del ‘900. Sono state presentate sinteticamente le posizioni degli antropologi Edward,Burnett Taylor e James George Frazer, della scuola sociologica francese, del Funzionalismo, della psicologia ( Freud), del Cognitivismo.
Un’ultima appendice è stata riservata alla pratica della magia nell’antica Mesopotamia, con suggestivi esempi pratici del suo ricorso a supporto di trattamenti medici. Infine una ricca bibliografia è stata posta a disposizione di chi è interessato ad approfondire la materia.
Nella relazione dal titolo “Magia e negromanzia nei testi biblici” Paolo Lucca (Università Ca’ Foscari, Venezia) ha preliminarmente compiuto una panoramica degli studiosi, che in età moderna si sono confrontati per mettere a punto una definizione della magia in rapporto alla religione. Secondo alcuni studiosi magia e religione si sviluppano in tempi diversi lungo una medesima linea evolutiva, manifestandosi talora in forme difficili da distinguersi. Non semplice, quindi, stabilire un confine stretto tra i due fenomeni. In alcuni casi è la forma del rito ad attribuirne la paternità all’una o all’altra. Un determinato evento, ad esempio, può essere qualificato da un gruppo come un miracolo oppure il risultato di una magia. Per qualche studioso è addirittura impossibile stabilire che cosa è magico e che cosa non lo è e, di conseguenza, magia e religione si confondono in un unico concetto.
Il relatore ha, quindi, affrontato il tema che ha dato il titolo alla conversazione, addentrandosi negli studi biblici. Ha fatto riferimento all’autorevole parere di Milgrom, che nega che si possano invocare spiriti malevoli o benevoli; non si può intervenire nel regno del divino. La magia è pratica pagana e, quindi, abominio. Secondo Deuteronomio 18,9-14 “non si trovi in mezzo a te chi fa passare suo figlio o sua figlia per il fuoco, né chi esercita la divinazione, né astrologo né chi predice il futuro, né mago, né incantatore, né chi consulta gli spiriti, né chi dice la fortuna, né negromante”. Si tratta di pratiche di altri popoli, che verrebbero condannate dal Signore come abominio se seguite da Israele. Dello stesso tenore Levitico 19,26-31. Dunque condanna assoluta.
D’altro canto la necessità di dettare una norma per mettere al bando le pratiche magiche sembra evidenziare che il fenomeno di fatto fosse ben presente all’interno del popolo d’Israele. In realtà in numerosi passi biblici personaggi, talora ispirati da Dio, ricorrono alla divinazione e alla negromanzia. E non sempre si ricorre all’ausilio di negromanti o indovini non appartenenti a popolo d’Israele.
Da un esame complessivo dei passi biblici, nei quali si accenna al ricorso alla divinazione e alla negromanzia, si può trarre come conclusione che la liceità o illiceità di tali pratiche dipende all’esistenza o assenza di riti sacerdotali. La Bibbia riconosce l’efficacia di pratiche divinatorie appartenenti ad altri popoli, ma li proibisce in quanto alternative rispetto ai riti ebraici. In sostanza divinazione e negromanzia sono lecite in nome di chi vengono esercitate.
“Gesù mago? Spiriti, esorcismi e magia nella prassi di Gesù ebreo e dei suoi primi discepoli” è il titolo dell’esposizione di Gabriele Boccaccini (Michigan University, USA).
Per i moderni (post-illuministi) la distinzione tra religione, magia e medicina è netta: religione indica lo sforzo di apportarsi a Dio; magia fa riferimento a forze occulte, che hanno influenza sulla realtà, medicina è scienza razionale della realtà. Nel 1978 un libro di Morton Smith, intitolato “Gesù mago” destò molto scalpore, in quanto vi si affermava che la figura di Gesù non appariva diversa dagli altri maghi del tempo. Boccaccini ricorda che secondo Celsio Gesù fu accusato di stregoneria, attingendo ad arti apprese in Egitto, e che anche secondo il Talmud fu crocefisso con la stessa accusa.
In realtà nell’antichità il confine tra religione, magia e medicina non era affatto ben delimitato. L’esistenza degli spiriti era credenza comune e ad essi venivano attribuiti fenomeni naturali, sui quali si desiderava intervenire. La distinzione era tra pratiche legittime e illegittime (queste ultime secondo i Romani quando configgevano con lo stato). Quindi la vera distinzione nell’antichità era tra magia e superstizione.
Esisteva una magia ebraica. Secondo Flavio Giuseppe, Salomone era il padre della magia ebraica. Riferimenti a pratiche magiche vengono contenuti nel Libro di Tobia e nel libro del Siracide 38: la magia viene da Dio, che dà ad alcuni il potere di curare le infermità e scacciare gli spiriti maligni. La magia veniva intesa come medicina, appendice delle pratiche religiose.
L’errore di Smith è di accostare Gesù al filone del paganesimo semitico, estraneo alla tradizione ebraica. Un altro studioso, Geza Vermés lo accosta invece ai maghi ebrei, ai quali venivano concessi poteri di agire sulle forze della natura.
Gesù, come mago (o se vogliamo “guaritore”) faceva quello che facevano gli altri maghi del suo tempo. In Matteo 12 non viene contestata l’esistenza dei poteri di Gesù, ma l’origine demoniaca.
L’esistenza degli spiriti era da tutti riconosciuta. Nel giudaismo del Secondo Tempio vi era una distinzione del valore loro attribuito i: per gli Esseni gli spiriti agivano sotto il potere di Dio, che in caso di obbedienza alla legge proteggeva gli uomini dagli spiriti e al contrario li puniva. Per altri, secondo una visione apocalittica (Libro di Enoch) si era creata una frattura tra Dio e gli spiriti. Gli spiriti impuri diventano ribelli a Dio e possiedono gli uomini, costringendoli a compiere il male.
Per gli Esseni la legge ebraica è salvifica (ma non per i non ebrei), mentre per Il Libro delle Parabole e per Giovanni gli uomini sono salvati dal pentimento. Per i cristiani è’ Gesù il grande mago e le guarigioni da lui compiute sono il segno dell’arrivo del Regno di Dio.
Ciò che distingue Gesù non sono le modalità con cui opera le guarigioni, ma il loro significato in un’ottica apocalittica. Per i primo cristiani mago e messia non sono in contraddizione.
In Marco 1.24-25 l’esorcismo è associato al messianismo; in Marco 2.1 la guarigione è segno della liberazione dal male, di guarigione dal peccato.
Gesù è il rimedio definitivo, che rende illegittimo ogni altro rimedio (Simon Mago, Elmas). Gesù, rimedio definitivo, rende anche superflua l’attività taumaturgica dei discepoli, in quanto i loro miracoli non hanno più la stessa valenza profetica.
Quindi, secondo i Vangeli Gesù è il mago legittimo, è il messia per la sconfitta definitiva del male. Come Gesù storico la situazione è più complessa: la maggior parte degli storici ritiene che Gesù esercitasse effetti mante la pratica magica e ne avesse reputazione e che la utilizzasse per la propria missione messianica.
Allora: Gesù mago o no? Dipende all’accezione che diamo a questo termine. Non può essere l’accezione che le diamo come moderni, ma deve essere riferita al contesto. Quello che importa, secondo Boccaccini, è il valore che Gesù dava alle pratiche, di cui si attribuiva l’esclusiva. Si trattava comunque di una professione legittima.
Alessia Bellusci (Università Ca’ Foscari, Venezia) ha parlato di “Spiriti, esorcismi e magia nella prima letteratura rabbinica”.
La tradizione magica ebraica è caratterizzata dalla c.d. “scribalizzazione”. L’antica tradizione ebraica affidava generalmente alla sola trasmissione orale la conservazione delle pratiche magiche, contrariamente a quanto comunemente praticato da altre culture, come quella mesopotamica, babilonese ed egiziana, dove è possibile reperire numerosi esempi di formule iscritte. Però sono stati ritrovati due reperti con iscrizione di formule magiche risalenti all’antichità ebraica, che derogano alla regola di carattere generale circa la tradizione orale: uno riguardante l’ordalia dell’adultera, l’altra l’iscrizione su due amuleti di una formula di benedizione del Deuteronomio risalente al 6°-7° secolo a.C.
Solo con la letteratura rabbinica la tradizione delle pratiche magiche avviene per iscritto ed viene elevata ad un livello tecnico-compositivo, consentendone una trasmissione più lineare.
L’analisi di questa letteratura ha sollevato però delle problematiche tra gli studiosi. I testi sono anonimi e, non conoscendone gli autori, non è possibile stabilirne la loro autorità sulla popolazione. Le iscrizioni su amuleti o coppe con consentono neppure di essere certi che siano opera di ebrei o di non ebrei, perché talora vi sono mescolati elementi magici risalenti ad altre tradizioni.
Secondo la letteratura rabbinica il divieto delle pratiche magiche è riferito al contenuto di Deuteronomio 19, 9-12. Vengo però indicate numerose eccezioni: è permessa l’illusione ottica, ossia il gioco di prestigio; è consentita la pratica della magia allo scopo di studio, cioè per insegnare a capire; la conoscenza della magia è un requisito per essere eletto nel Sinedrio; la magia è consentita quando serve per difendersi da un’altra magia; la pratica magica è lecita quando è esercitata ai fini di cura, per finalità mediche.
La letteratura rabbinica si sofferma molto sull’uso degli amuleti: essi possono essere indossati anche nello shabbat, purché servano a proteggere, a scongiurare situazioni di pericolo e siano stati preparati da esperti. La credenza nei demoni e la paura della loro influenza favoriscono il ricorso ad amuleti contenenti formule magiche. Nel “Trattato dei sogni” si danno indicazioni su come interpretare i sogni e come contrastare un sogno negativo.
L’esposizione si è conclusa con l’illustrazione,corredata da immagini, di ricchi esempi di ricette magiche, amuleti, coppe, rimedi, orientati in modo specifico a facilitare la guarigione da malattie, a favorire la fertilità, a prevenire aborti.
“L’ambiguo statuto del mago nella letteratura greco-romana” è il titolo della lezione tenuta da Chiara Ombretta Tommasi Moreschini (Università di Pisa).
Lo studio della letteratura magica greco-romana è stata portata avanti solo recentemente.
Di diverso tipo sono le fonti cui attingere. Tra queste, numerosi gli amuleti e le spille con iscrizioni di formule magiche, che talora riportano nomi esotici appartenenti ad altre culture, nell’intento forse di conferire loro maggiore efficacia. Numerose anche le “tavolette di maledizione”, leggere lamine di metallo con incise formule magiche che si arrotolavano e poi conficcate in un chiodo. Inoltre vanno annoverate piccole statuine, cui sono state conficcate tali formule: lo scopo può essere di natura amorosa, ma anche quello di propiziare una vincita ostacolando un concorrente.
Un rilievo particolare assumono i testi riportati su papiri egizi di varia lunghezza. In quanto significativo, la relatrice menziona “Il grande papiro egizio di Parigi” del 3°/4° secolo d.C. con un rituale d’immortalità: esso contiene ricette, accompagnate da invocazioni alle divinità, per ottenere una vita migliore così da avvicinare l’uomo all’immortalità.
La pratica magica in Egitto, pur essendo molto più antica, fiorisce in modo particolare dopo la morte di Alessandro Magno.
Nella cultura romana lo sviluppo e la diffusione di pratiche magiche diventano importanti nell’età imperiale. A partire dal 2° secolo d.C. si susseguono tempi contraddistinti da angoscia e ci si abbandona ad elementi irrazionali, per cercare di condizionare il proprio destino. Il cristianesimo non rimane insensibile a tale tendenza, con la sostituzione di figure di santi alle immagini pagane.
Tra le fonti vanno menzionati i manuali di magia in varie forme. In Egitto i vecchi sacerdoti vengono “romanizzati”, riciclandosi come maghi e mettendo così a disposizione la loro consulenza.
Altro centro importante fu la Tessaglia, regione arida ed aspra, territorio idoneo ad ispirare la presenza di streghe e di maghe. Nell’ultima parte della relazione è stato dedicato ampio spazio ai riferimenti letterari.
Orazio e Lucano nelle loro opere riferiscono di riti negromantici. Petronio nel “Satyricon”narra della trasformazione dell’uomo in un animale, trasformazione del resto già presente nella letteratura molto antica, come nell’episodio di Circe, che nell’Odissea tramuta in porci i compagni di Ulisse.
La magia viene spesso associata a figure femminili, come Medea o come l’incantatrice protagonista di un’opera di Teocrito.
Inoltre assume un rilevo particolare la figura di Apuleio. Portato in tribunale con l’accusa di avere conquistato la moglie con sortilegi, accusa che all’epoca non appariva assurda. Apuleio è a conoscenza del fatto che la legislazione romana a partire dalle XII Tavole fino alla più recente Lex Cornelia proibisce le pratiche magiche, prevedendo anche la pena di morte per chi avesse provocato la morte di un uomo o avesse venduto pozioni magiche. Ciò nonostante Apuleio, che è anche filosofo, fa una distinzione tra la magia nobile, elevata e quella volgare dei ciarlatani, stabilendo un’equivalenza tra mago e filosofo. Nel 2° secolo il filosofo assume di avere un rapporto privilegiato con i demoni, esseri intermedi tra le divinità e gli uomini ed è quindi interessato ai fenomeni occulti. In effetti Apuleio ebbe fama di mago.
Apelle nella sua storia della magia la fa risalire come origine alla Persia, dove veniva praticata dai sacerdoti. Il termine mago viene attribuito per la prima volta a Dario e sta forse ad indicare uno stato d’estasi. A seguito del contatto con la cultura greca il termine assume un significato ambiguo, anche di stregone.
Silvio Lovetti