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Resoconto dei corsi di Ebraico e Greco biblici 2024
Corsi ebraico e greco online 2024
Al fine di consentire un approccio diretto alla Bibbia, l’Associazione organizza da alcuni anni corsi dedicati alle due principali lingue bibliche e cioè l’ebraico ed il greco. Nel 2024 questi due corsi si sono svolti tra il mese di gennaio ed il mese di marzo, in 10 lezioni per ciascun corso. Quello di ebraico è stato tenuto dalla professoressa Ilaria Briata tutti i martedì dalle ore 18 alle 19 e 30 dal 16 gennaio al 24 marzo 2024. Il corso di greco è stato tenuto dalla professoressa Laura Pasquino tutti i giovedì dalle ore 18 alla 20 con inizio il 18 gennaio fino al 21 marzo. In entrambi i corsi, le lezioni hanno comportato la lettura e traduzione dei testi da parte degli allievi con interventi dell’insegnante e con esposizione della grammatica e del lessico. In ciascuno è stata tenuta una lectio magistralis, per il corso di ebraico, dal professor Piero Capelli, ordinario di ebraistica presso l’Università Ca’ Foscari, e per il corso di greco dalla professoressa Piera Arata e dal professor Luciano Zappella. Il corso di ebraico verteva sugli elementi di sacro e perturbante presenti nella Bibbia. Il corso di greco ha riguardato la traduzione dell’intero libro di Giona.
In particolare, dato l’argomento del corso, la professoressa Ilaria Briata ha dedicato le prime due lezioni a chiarire cosa si intenda con i termini “sacro”, “perturbante”, “fantastico” e “soprannaturale”.
Sacro indica qualcosa di separato dall’ambiente umano per essere riservato al mondo divino sia per essere santificato che esecrato/punito (sacer in latino è una vox media). Da qui il senso di pericolo che accompagna il sacro, che va collegato, proprio per questo senso di pericolo, al concetto di impuro il quale prescinde dalla colpa per riguardare la contaminazione avvicinabile, per noi, al contagio di certe malattie.
Il concetto di perturbante ha carattere emotivo e riguarda il modo in cui noi percepiamo certe cose. L’origine di questo sentimento è il dubbio che un oggetto privo di vita sia animato.
Il fantastico è un avvenimento che non ci è familiare riguardo al quale bisogna decidere se esso è un’illusione o se esiste realmente, nel qual caso si è di fronte ad una realtà governata da leggi a noi non note. Il fantastico occupa il lasso di tempo di quest’incertezza.
Riguardo al soprannaturale, bisogna tener presente che ciò che noi intendiamo per natura è diverso da ciò che con essa intendevano gli autori del testo biblico. Per natura, nella Bibbia, si intende la creazione, cioè come relazione di potere tra creatore e creato. Il creatore serve l’uomo, ma l’uomo deve servire il creatore. Se contravviene a quest’obbligo, viene punito. Bisogna pensare a relazioni tra i vari elementi e come queste si sviluppano e cambiano. Capire le relazioni tra elementi è un metodo per capire quale ordine del mondo abbia in mente chi ha composto la Bibbia.
La lectio magistralis tenuta dal professor Capelli ha sviluppato questi concetti in relazione alla figura di Caino o, meglio, alla sua colpa. Si è esaminato il capitolo 4 della Genesi, versetti 6 e 7, versetti ritenuti oscuri da tutti i commentatori e che si prestano ad interpretazioni diverse. Sono le parole che Dio rivolge a Caino prima del fratricidio. La premessa è che Dio accetta i sacrifici di Abele, ma non quelli di Caino. Quindi il volto di Caino era abbattuto. Si riporta qui il testo nella traduzione della CEI (2008): «Il Signore disse allora a Caino: “Perché sei irritato e perché è abbattuto il tuo volto? Se agisci bene, non dovresti tenerlo alto? Ma se non agisci bene, il peccato è accovacciato (roveṣ alla tua porta; verso di te è il suo istinto, e tu lo dominerai”». Il peccato è alla porta come un roveṣ.
San Gerolamo traduce dicendo che “se avrai agito bene riceverai molto, mentre se avrai agito male, il peccato sarà in agguato alla porta, ma la sua brama sarà verso di te e tu lo dominerai”. Si responsabilizza Caino. Nelle fonti accadiche c’è un demonio che si chiama râbiṣu, nome che corrisponde a roveṣ. È un demonio che se ne sta accovacciato alla porta di un dio o di un tempio che cerca di impadronirsi dell’uomo ed a cui l’uomo deve opporsi. La porta potrebbe dunque essere uno spazio fisico. L’idea che la soglia della casa ospiti demoni era diffusa nell’antichità. Dio mette in guardia Caino dal tormento che gli deriverà dall’uccisione di Abele. Ma Caino non ha la minima idea di ciò che deve evitare. Adamo ed Eva lo sapevano, ma Caino no. Caino nutrirà un senso di colpa per ciò che ha fatto. La figura di Caino si avvicina, così, al protagonista del “processo” di Kafka che ha un senso di colpa ma non sa a cosa dovuto e questo lo porta a soccombere nel processo.
Il professor Capelli avvicina Caino a figure mitiche quali:
Sisifo che per aver dato agli uomini i segreti degli dei ed aver messo la morte in catene deve spingere un grande masso fino alla cima di un monte e, quando arriva su, il masso cade e Sisifo deve ricominciare a spingere,
Prometeo che ha dato il fuoco agli uomini.
Per Camus, Sisifo è l’eroe assurdo, simbolo della condizione dell’uomo contemporaneo (alienazione dell’operaio che fatica ma non sa il perché). Nel libro “L’homme révolté”, Camus espone la sua idea su Caino che è rivolto verso ciò che farà dopo essere stato maledetto. Il futuro è una scelta di Caino. Tutti gli eroi del mito antico fondatori di civiltà sono spesso in rivolta contro gli dei. Anche Caino è un uomo in rivolta; è l’eroe culturale dagli ebrei. Fonda la prima città della storia chiamata “Enoch” che significa inaugurazione di qualcosa che prima non c’era. I discendenti di Caino inventano le tecniche dell’agricoltura, della metallurgia e della musica. L’uomo in rivolta del ’900 è figlio tanto di Prometeo che di Caino. Prometeo e Sisifo erano consapevoli di quello che facevano, Caino non molto. Caino al versetto 9 si rivolge Dio e lo manda a quel paese. Questa è una risposta sarcastica perché Caino sa dell’onniscienza di Dio e non dà a Dio la soddisfazione della risposta. Non si presta agli interrogatori umilianti. È prigioniero di un destino assurdo e contro questo si rivolta, decidendo di costruire da sé il proprio destino. Le grandi rivoluzioni sono tutte metafisiche. È una rivoluzione contro Dio a cui Caino volta le spalle per andare a costruire una città. La punizione di Caino consiste nel dover lottare continuamente contro il peccato, cosa che dovranno fare anche tutti i suoi discendenti. [Per un ampio approfondimento filologico e culturale di questi temi si rimanda a P. Capelli, «Il peccato è accovacciato alla tua porta» (Gen 4,6-7) in P. Stefani (ed.), L’«invenzione» del peccato, Morcelliana, Brescia 2013, pp. 13-75].
La lectio magistralis del corso di greco è stata divisa in due parti: la prima parte, tenuta dalla professoressa Piera Arata, riguardante il midrash e l’iconografia su Giona, la seconda parte, tenuta dal professor Luciano Zappella, è stata intitolata “Nel segno di Giona tra Pinocchio e Moby Dick”.
Il libro di Giona è stato composto in ebraico in età post-esilica (tra il VI e il V secolo a.C.) con lessico (ad esempio “Dio del cielo”) dell’età persiana. Non presenta oracoli. Appartiene al genere della novella profetica e risente di apertura verso i pagani. La tradizione del midrash ha ampliato il racconto con elementi fantasiosi. Giona si rifiuta di profetizzare perché era già stato incaricato da Dio di profetizzare la distruzione di Gerusalemme ma poi l’evento non si era verificato. Così Giona era stato considerato un falso profeta e non voleva propagare questa sua fama anche presso i gentili. Il grande pesce era stato creato fin dall’origine dei tempi proprio con lo scopo di ingoiare Giona e trattenerlo senza fargli male e aveva grandi occhioni come oblò da cui Giona poteva guardare fuori le meraviglie del mondo marino (rappresentazioni a mosaico del pavimento di una sinagoga del V sec. che raffigura la nave ed il fondo del mare). Il pesce racconta a Giona che ogni pesce, arrivato il suo momento, doveva farsi mangiare dal leviatano e che ormai il suo momento era arrivato. Allora Giona, quando arrivano al leviatano, gli chiede il suo indirizzo per prenderlo alla fine dei tempi e macellarlo per il banchetto dei giusti. Il leviatano scappa velocemente, allora il grande pesce, grato a Giona, lo porta a fare un tour degli oceani. Passano 2 giorni e Giona sta talmente bene che non pensa di chiedere a Dio di mandarlo fuori. Allora Dio manda un grande pesce femmina a mangiare il pesce, così Giona prega Dio di farlo risputare. I pesci, mentre Giona prega, stanno rispettosamente in silenzio. In un midrash, Giona non muore. Ma vi sono leggende che narrano della tomba di Giona che si troverebbe nella moschea di Mossul costruita nel VIII secolo la quale, come chiesa cristiana, aveva una frequentazione mista che la rende odiosa all’Isis che distrugge a martellate la tomba di Giona e fa esplodere la moschea. Un’altra tradizione colloca le spoglie di Giona nella cattedrale di Nocera Inferiore, dove un vescovo del ‘600 avrebbe veduto nella tomba il corpo di Giona vestito all’ebraica. Nella 10° sura del Corano la tradizione di Giona viene raccontata.
Nella tradizione cristiana, Giona (rimasto 3 giorni nel pesce) prefigura la morte e resurrezione di Cristo. Ci sono alcuni dipinti in cui si vede Giona che esce dal pesce e sopra la resurrezione di Gesù. Il trionfo dell’iconografia di Giona è l’età paleocristiana in cui abbiamo circa 400 rappresentazioni dal III al V secolo con la massima diffusione nel IV e questa iconografia è soprattutto in ambito funerario perché Giona esprime la resurrezione oppure l’idea di un aldilà paradisiaco. Il mito di Giona è rappresentato anche lampade, vetri e gemme con un’unica scena che di solito è il riposo di Giona sotto il cespuglio, scena spesso rappresentata con stilemi comuni alla rappresentazione di miti pagani perché le botteghe incaricate dell’esecuzione erano le stesse per cristiani e pagani. Nelle catacombe di San Callisto, Giona è gettato nudo nel mare. La nave ha sempre due o tre marinai di cui uno butta Giona in mare. Sia Giona che i marinai sono nudi. Il grande pesce viene sempre rappresentato come mostro marino con la testa di drago ed il corpo di serpente e questo perché riprende il modello dell’istrice che fa parte dei cortei di Nettuno. Anche quando il mostro vomita Giona, questi esce in atteggiamento orante sempre nudo. Nei cicli di Giona non viene mai omessa la scena del riposo sotto un pergolato che, dal greco, potrebbe essere un ricino, ma di solito viene rappresentato come una pianta di zucche (non di edera, come traduce san Gerolamo, scandalizzando sant’Agostino perché l’edera era un attributo di Dioniso). Nella catacomba ai due lauri vediamo Giona nella capanna triste e meditativo. Sembra alludere al pentimento e perdono dei peccati per i battisti. Nei cicli abbreviati, ci sono solo le scene del buttare a mare e del riposo. Nell’immagine del British museum, Giona sotto il pergolato ha proporzioni molto grandi. Quando hanno rifatto San Pietro è stato ritrovato un sarcofago poi smontato nel ‘700 ed ora rimane solo il fronte. L’immagine riguarda il ciclo dell’acqua. Giona si tuffa quasi in bocca al pesce, rappresentato anche quando risputa Giona che poi viene raffigurato sotto la zucca. Ci sono immagini tratte dal libro di Giona anche nel mosaico pavimentale della basilica di Aquileia, mosaico che occupa 760 mq., tutti raffiguranti immagini simboliche. La basilica è stata costruita a partire dal 315 due anni dopo l’editto di Costantino. Si hanno rappresentazioni della vicenda di Giona anche nel medioevo, in particolare nel pulpito di Rosciolo dei Marsi e nel pavimento musivo dell’abside della cattedrale di Otranto che raffigura l’intero ciclo. Nella cappella Scrovegni, Giotto dipinge il pesce che ingoia Giona che rimane con le gambe verso l’alto. Nella cappella sistina Giona è esattamente sopra il giudizio universale ed è l’unico che non ha né libri né rotoli, ma guarda verso l’alto. Nel ‘600 Rembrandt raffigura Giona vestito che scappa dal grande pesce. Esistono incisioni con tantissime repliche di tutto il ciclo di Giona.
Il professor Zappella si è invece interessato alla figura di Giona in relazione a Pinocchio e Moby Dick. Ha iniziato citando alcuni parallelismi tra Pinocchio e Giona: il profeta riluttante e il bambino disobbediente, il grande pesce, la rinascita/resurrezione.
Moby Dick si può, invece, considerare il libro di Giona e di Giobbe della nazione americana. Per scriverlo, Melville si è servito dell’Encyclopedia of Bible scritta 30 anni prima. L’intento di avvicinare alla Bibbia la vicenda narrata si nota già dai nomi scelti: il capitano Acab è omonimo del più malvagio dei re; la nave che soccorre Ismaele si chiama Rachele che nella Bibbia è la madre straziata che va alla ricerca dei figli perduti (Giuseppe e Beniamino); il nome Ismaele è il nome con cui Dio dice alla schiava Agar di chiamare suo figlio perché il Signore ha ascoltato l’afflizione di Agar. Proprio con questo nome inizia il libro: “Chiamatemi pure Ismaele”, frase con cui lo scrittore affida al lettore il compito di chiamarlo così, cioè chiede ai suoi lettori di considerarlo un narratore affidabile proprio perché ha saputo ascoltare. Inoltre, Giona viene considerato come parte di quella schiera di eroi che hanno avuto l’ardire di muovere baldanzosi incontro alla balena.
Il libro prende le mosse dal sermone del pastore Mapple, il che significa che il viaggio di Ismaele comincia, come quello di Giona, con l’ascolto di Dio, per il tramite del pastore. Questo sermone riguarda il racconto biblico di Giona il quale diventa una figura molto vicina perché, spostandosi all’estremo occidente, cercava di mettere il mondo tra sé e Dio. È un uomo in fuga. Questo sermone è l’anticipazione metodologica dell’ampio viaggio esegetico del romanzo. Infatti, il motivo di fondo della predica è che se obbediamo a Dio, dobbiamo disobbedire a noi stessi, concetto che è il filo conduttore di “Moby Dick” e trova il suo culmine quando, al 3° giorno di caccia, il primo ufficiale, prima di obbedire ad Acab, dice queste parole “Che Dio ci protegga, ma già obbedendo a lui, ho il sospetto di disobbedire a Dio”. Acab, più che a Dio, obbedisce a sé stesso ed alla propria vendetta. Nella chiusa del sermone, il pastore dice di essersi battuto per essere, più che del mondo, di Dio.
Moby Dick comincia all’insegna di Giona e finisce all’insegna di Giobbe: “e io solo sono scampato per raccontarlo”. Giona è figlio di Amittai che deriva da Emet (verità), figlio delle mie verità. Anche Ismaele, come Giona è figlio della verità veicolata dalla visione narrativa. Sia Giona, nel libro di Giona, sia Ismaele, nel romanzo, sono prodotti di finzione, ma capaci di una profonda verità in quanto Giona e Giobbe hanno fatto l’esperienza dell’abisso e sono tornati a raccontarlo proprio come Ismaele che torna in vita aggrappato ad una bara salvagente e poi racconta quanto gli è accaduto. Il pesce inghiotte e partorisce Giona. Ismaele ha visto da vicino l’abisso di bramosia cui si è spinto il capitano Acab portando con sé tutto l’equipaggio. Ismaele ha visto, ha raccontato, ha compiuto un’opera di verità prendendo sul serio il sermone del pastore, facendolo suo. In conclusione anche Moby Dick come la Bibbia è la narrazione di una salvezza.
In conclusione, i due corsi mi hanno molto interessata per gli approfondimenti che hanno comportato. Pur non richiedendo un eccessivo impegno, consentono un approccio, non mediato dalla traduzione di altri, al testo biblico. Penso che per la partecipazione a questi corsi non sia essenziale una conoscenza delle lingue bibliche le spiegazioni e la pazienza delle insegnanti permettono di apprenderle affrontando la traduzione. Mi sento, quindi, di consigliare a tutti di frequentarli.
Alessandra Passeri